L'home restaurant al vaglio dell'AGCM: il disegno di legge non supera il test comunitario di proporzionalità e necessarietà delle misure restrittive

AGCM, interpellata ai sensi dell’art. 22 della legge n. 287/90, ha emesso un parere sulle previsioni presenti nel DDL A.S. n. 2647, recante "Disciplina dell’attività di home restaurant" e volto a disciplinare l'attività di ristorazione a domicilio fornita da persone fisiche all’interno di abitazioni private in maniera tale da garantire "la leale concorrenza" tra gli operatori del settore valorizzando "la cultura del cibo tradizionale e di qualità".

In particolare, nel DDL si precisa che l'attività di "home restaurant" è da intendersi come "attività occasionale" (art. 2, co. 1, lett. a) che “non può superare il limite di 500 coperti per anno solare né generare proventi superiori a 5.000 € annui” (articolo 4, comma 4) da effettuarsi "per il tramite di piattaforme digitali" che mettono in comunicazione gli Utenti Cuochi con i fruitori del servizio e per cui il pagamento della prestazione va gestito "esclusivamente attraverso sistemi di pagamento elettronico". Secondo il DDL, il gestore della piattaforma è onerato di una serie di obblighi di verifica sugli operatori anche "ai fini dell’iscrizione alla piattaforma digitale" (quali, ad es., l’avvenuta stipula da parte degli Utenti Cuochi di polizze assicurative per la copertura dei rischi derivanti dall’attività e per la responsabilità civile verso terzi collegata all’unità immobiliare in cui si svolge l’attività, nonché sul possesso dei requisiti da parte dell’Utente Cuoco di cui alla presente legge per svolgere l’attività in esame) e di informativa alla clientela (circa il servizio offerto, le coperture assicurative stipulate, "esplicitando che trattasi di un’attività non professionale di ristorazione"). Tuttavia, tali obblighi, secondo l'AGCM, pur essendo funzionali a garantire i successivi controlli da parte dei soggetti competenti secondo le modalità che saranno definite con decreto del MISE (di concerto con il MEF), sono stati ritenuti anti-competitivi e restrittivi della concorrenza nella misura in cui introducono oneri eccessivi su soggetti che si occupano di ristorazione a livello occasionale e che, quindi, sono new-comers del mercato di riferimento.

Anche i "correttivi" previsti in merito, vale a dire (a) l'esenzione nei confronti degli Utenti cuochi dall’obbligo di stipulare le coperture assicurative, a cui si accompagna l'esenzione nei confronti del gestore della piattaforma dall'obbligo di indicare al Comune le unità immobiliari in cui si svolge l’attività in caso di eventi c.d. social eating, se organizzati per non più di cinque volte nell’anno solare e per un massimo di 50 coperti complessivi, e (b) il divieto di svolgere l’attività in questione nelle stesse unità immobiliari ad uso abitativo in cui sono esercitate attività turistico-ricettive in forma non imprenditoriale o attività di locazione per periodi di durata inferiore a trenta giorni, non sono stati ritenuti sufficienti a garantire la concorrenza a fronte di limitazioni - quali l'utilizzo esclusivo delle piattaforme digitali - suscettibile di limitare l'utilizzo di tali servizi ai soli utenti digitalmente educati ed avvezzi alle transazioni online e l'automatica esclusione, dal perimetro dell'home restaurant, dei ristoratori tradizionali. Analoghe considerazioni valgono rispetto all’obbligo di pagamento anticipato, determinato dal fatto che le transazioni avvengono esclusivamente mediante le piattaforme digitali, circostanza che rende più oneroso l'esercizio del diritto di ripensamento, oppure di recesso, con conseguente obbligo di rimborso degli importi corrisposti.

Oltretutto, i correttivi di cui sopra, piuttosto che migliorativi, vengono considerati dall'AGCM come limitanti la libertà di iniziativa economica degli organizzatori degli eventi di c.d. social eating, sancita nell'art. 41 della Costituzione, in considerazione della pre-determinazione del numero massimo di coperti da allestire e della soglia di reddito annuo derivante dall'attività in questione.

È opportuno riconoscere come l'individuazione di una specifica disciplina per un’attività tipica della sharing economy, quale quella di ristorazione in abitazione privata, entra in conflitto con gli schemi di un ordinamento giuridico rigido quale quello nazionale, sebbene a livello europeo ci sia una forte propensione ad incoraggiare i modelli economici "liquidi", anche allo scopo di creare nuove opportunità sia per i consumatori, che possono beneficiare di un ampliamento dell’offerta di servizi e di prezzi inferiori, sia per i nuovi operatori, agevolati da forme di lavoro flessibile e da nuove fonti di reddito.

L'AGCM ha quindi ricordato come, secondo la Commissione, le restrizioni in termini di accesso al mercato possano essere previste soltanto se proporzionate, necessarie e non discriminatorie, oltreché giustificate da un ben individuato "motivo imperativo d’interesse generale" di cui all’articolo 4, punto 8, della Direttiva n. 2006/123/CE (Direttiva Servizi), senza "privilegiare un modello di impresa a scapito di altri", condizioni che non si ritengono soddisfatte nel caso di specie. 

L'articolo fa parte della newsletter Flash Food di giugno 2017.

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